venerdì 24 aprile 2015

Mario Sei con una commedia interpretata dai detenuti-attori

CATANZARO 2 GENNAIO 2015 - Nel carcere di Catanzaro i detenuti-attori rappresentano una commedia di Mario Sei
In scena questo pomeriggio presso la Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro i detenuti-attori con la commedia, scritta apposta per loro, dal titolo “l’ora d’aria”, ideata e diretta da Mario Sei, autore e regista di diverse commedie teatrali nonché assistente volontario presso il carcere di Catanzaro (Siano).

Bravi, disinvolti e molto professionali i detenuti che hanno divertito ma soprattutto regalato tanti momenti di riflessione ai compagni presenti, ai loro familiari e ai tanti ospiti, tra cui tutti gli attori della compagnia  nota come Teatro 6 “piccola fucina teatrale”. Simpatica e divertente questa commedia che riserva nel finale, momenti struggenti , grazie alla lettera di uno dei quattro figli della coppia (protagonista di questa commedia) che si ritrova in carcere


Questo figlio scrive ai genitori una lettera intensa in cui racconta la sua vita dentro il carcere, la sua capacità e volontà di riprogettare la propria vita, l’incontro con altri detenuti, la possibilità di leggere tanto, di studiare, di conseguire il diploma. La possibilità per lui di comprendere il valore della vita. Scrive del valore della libertà, della bellezza di poter camminare a testa alta… tutto ciò che a lui è stato in qualche modo negato per colpa di scelte scellerate e sbagliate. Una commedia quindi bella ed intensa che ha permesso in questi 5 mesi ai detenuti di comprendere, oltre alle tecniche base, un nuovo modo di stare insieme, di portare avanti un vero e proprio gioco di squadra, ma anche a riflettere sul proprio stato di detenuto. Certamente il carcere è e deve restare un luogo di detenzione ma non sono (come si dice nella lettera che perviene ai due poliedrici genitori) dei vuoti a perdere, non devono essere oggetto di emarginazione o oggetto di pregiudizi sterili. Devono essere, per quanto possibile, si detenuti, ma ancor prima uomini, con le loro storie, fatte anche di umanità, di carità, di speranza. Non bisogna giudicare, l’unico giudice è Dio, dice il figlio nel testo della lunga lettera.

Il teatro quindi in questo caso ha svolto anche un ruolo pedagogico, rieducativo e quindi non solo un momento ludico, un diversivo, ma molto di più e la dimostrazione è stato l’apprezzamento dei tanti presenti e la visibile commozione.

Quello di oggi quindi ha riassunto un viaggio/percorso durato alcuni mesi, caratterizzato da momenti di determinazione, di entusiasmo, di passione, di impegno, ma anche di qualche momento naturale di scoraggiamento e di paura di non farcela.

Oggi pomeriggio però hanno dimostrato di essere capaci di esprimere un’autenticità raramente rinvenibile in un professionista, una spontaneità e un’immediatezza che si fa evidente nei lapsus, negli scherzi, negli approcci e quindi di farcela.

Hanno tirato fuori la stessa genuinità che possiede probabilmente qualunque uomo della strada, dal momento in cui si trasforma in “attore”, in quanto, il detenuto anche se recita ”dentro”, è il frutto di un “fuori”, che non può essere dissolto solo perché segregato e nascosto. 

La differenza diventa la forza e la magia del teatro in carcere, e si manifesta nel carico di “energie” che viene riversato sulla scena, un condensato di sofferenza e frustrazione, ma anche di desiderio di riprovarci.
Recitare, incontrarsi, conoscerci, ha permesso loro il libero flusso di emozioni e sentimenti rimossi e repressi dalla contenzione carceraria e li ha spinti alla cooperazione, alla collaborazione, allo scambio con gli altri, al gioco di squadra.

La sensazione che è stata colta e che appare più forte è stata che i detenuti hanno colto il messaggio di provare perlomeno a migliorare la loro dimensione in cui essi vivono, operando con modalità opposte dove è contenuta, collettive anziché individualizzatrici, coinvolgenti anziché segreganti, portatrici di arricchimento affettivo e artistico.
Fare teatro può significare che l’uomo della pena riscatti temporaneamente il suo “involontario” isolamento, smettendo di mimetizzarsi, iniziando a narrare, a narrarsi. 

Come qualcuno ci ha lasciato detto ” fare teatro in carcere riesce ad avere senso soltanto quando il teatro stesso se ne avvantaggia: non quando resta prigioniero”.
Molto bella la presenza di un ex-detenuto, uscito lo scorso mese di novembre e che comunque è venuto apposta, da uomo libero, a prendere parte alla rappresentazione, nel ruolo di vecchio e saggio nonno.
Molto emozionante la presenza dei congiunti dei detenuti-attori che hanno potuto prendere parte a questa intensa giornata che resterà certamente nella mente dei detenuti, delle famiglie e degli ospiti.

Consegnata dal regista una pergamena ad ogni singolo detenuto-attore , un attestato di attore provetto, sul retro una bella dedica, ispirata ad una nota poesia di Madre Teresa sulla speranza, quella speranza che non deve essere mai perduta.

La direttrice della struttura Dr.ssa Angela Paravati che per prima ha creduto in questo progetto di Mario Sei ha espresso parole di grande soddisfazione, auspicando che all’interno della struttura possa nascere un teatro stabile ed ha espresso parole di apprezzamento nei confronti dei detenuti-attori che sono stati capaci di regalare divertimento e tanti momenti di riflessione.

Consegnata al regista ed all’educatrice Dr.ssa Di Filippo una pergamena con una dedica dei detenuti attori sulla loro bella esperienza teatrale, ma ancor prima esperienza di vita.
 Notizia da www.infooggi.it